Il Niminchialista Cinematografico

SPECIALE VENEZIA 73

Ang babaeng humayo

Ma perché in Filippinia fanno anche il cinema?

Pensieri senza ordine su Lav Diaz premiato con il Leone D'oro 

Lav Diaz è filippino . Credo l'unico filippino che in Italia non sia entrato per andare a lavorare in una casa di ricconi a fare il cameriere.

Ricordo un piacevole pomeriggio in compagnia di alcuni colti imprenditori napoletani che si lamentavano del fatto che gli italiani non volessero fare gli schiavi e che quindi per pulire i cessi di casa loro erano costretti ad assumere dei filippini.

Lav Diaz è un regista filippino che fa film lunghissimi.

L'ultimo, appunto Ang babaeng humayo, è il più breve e dura circa 226 minuti.

Molti lo trovano insostenibile ed escono dalla sala, altri borbottano, altri si addormentano, e il racconto lungo e coinvolgente di questo regista davvero innovativo resta per pochi.

Lav Diaz è un total filmaker indipendente, che fa film con poche migliaia di euro, che adatta la sua visione al mezzo e i mezzi che ha alla sua visione.

Se ne frega della durata perché sa che se i suoi film durassero 90 minuti non verrebbero distribuiti lo stesso perché Checco Zalone impegna 900 sale su 1000, e le altre 100 ci mettono gli ennesimi "tratto da una storia vera", perché esistono le storie "false" ?

Che quando ho incontrato Lav Diaz al bagno mi sembrava una figura poetica mentre i nostri registi anche quelli più anticonformisti(?) avevano giacca e cravatta e parlavano come gli impiegati dell'inps e si rappresentavano con dei bigliettini come avvocati e agenti di commercio, al massimo erano bravi studenti diligenti.

Allora ho pensato, meno male che esiste il web, netflix, torrent, i ragazzi che fanno i sottotitoli, mymovies, almeno così se uno ha un qualche interesse le cose se le va cercare.

Lav Diaz è un regista filippino che fa film lunghissimi.

L'ultimo, appunto Ang babaeng humayo.

Che nessuno vedrà.


18 PREMI E UN RED CARPET 

di Barbara Napolitano


  • Ma perché per vincere un Festival bisogna fare sempre un film IMPEGNATO e IMPEGNATIVO?
  • Perché altrimenti nessuno li farebbe. Vedi cara i film comici e quelli leggeri la gente va a vederli, fanno "Cassa". I film impegnati, invece, per sopravvivere hanno bisogno dei Festival.
  • Ma lei lo sa che nel 1932 a Venezia si premiava il film più divertente?
  • Sarà stato per quello che chiusero i battenti diversi anni.... E comunque guarda che hanno vinto anche film divertenti... come quello... ah sì: Rosencrantz e Guildenstern sono morti ed è successo nel 1990!
  • Ma se I protagonisti muoiono! Insomma lei è d'accordo con la giuria che ha votato quest'anno?
  • Certo!
  • E non le dispiace per i film italiani?
  • Cara ma esistono già Festival solo per film italiani... i David di Donatello, per esempio.
  • Ah, sì, è vero!
  • E poi la vetrina, la vetrina! Io, è noto, indossavo piume e capelli biondi, scollature vertiginose e collier, lustrini corredati da tacchi alti .. e poi adoravo le scale! A Venezia le scesi talmente bene .... Pensi cara ragazza che io al festival nel 1954 ho ottenuto ben cinque minuti di applausi.
  • Ma davvero?
  • Certo guarda che i cronisti dell'epoca se lo ricordano.

Insomma Venezia è importante per la vetrina, il red carpet... hai capito?

  • Sì... ho capito il tappeto rosso... poco volante..
  • Pensa che nel 1954 si discusse molto della possibilità che il Festival si facesse ogni due anni...
  • E perché?
  • Perché i produttori cinematografici sostenevano che Venezia e Cannes li costringevano a costi insostenibili per produrre film di qualità e si riunirono a Locarno in un'Assemblea generale della Federazione Internazionale dei Produttori cinematografici per decidere il da farsi...
  • Ma poi non se ne fece nulla, vero?
  • No. Per fortuna si misero d'accordo sulla distanza stagionale. D'altra parte lo stesso Festival di Venezia si svolge al Lido per riempire alberghi che rischiavano di rimanere vuoti.
  • Insomma lei al Festival ci veniva solo per farsi vedere?
  • CERTO CARA! Tutti vengono per quello. Li favorisce addirittura il fatto che hanno inventato un milione di categorie! Altro che film italiani e stranieri del 1934! Ma quello che facevamo nel 34 dava scandalo per altri motivi... Insomma emergenti, restaurati, ce ne sono 18! 18 premi...
  • Caspita 18!
  • Ebbene sì cara.. pensa che io scendo sulla terra solo per questo... Non c'è niente come la passerella di Venezia... nemmeno i suoi film... ora perdonami devo andare... C'è Macario che insiste a provare una nuova messa in scena ed Alberto non vuole prestargli la sceneggiatura di "Polvere di Stelle".., servo io a metter pace.

Insomma Wanda Osiris se ne va insieme ad un'altra edizione della Mostra del Cinema di Venezia.

DAWSON CITY-Frozen Time

IIl cinema nel buco del culo del mondo.

di Nicola Guarino

DAWSON CITY-Frozen Time

Bill Morrison

Dawson City: Frozen Time
(120 min, 2016, USA)


Nel 1895, non c'era nulla, poi arrivano i cercatori d'oro, mandano via gli indigeni e si stabiliscono lì, in questa regione che d'inverno è piena di neve, una regione in cui all'inizio si recheranno presi dalla corsa all'oro centomila persone settantamila dei quali non faranno ritorno. E dove ci sono persone, risorse da sfruttare e cercatori d'oro inizia ad esserci una cittadina, con quattro case, un barbiere un fotografo una sala da ballo un casino e il gioco d'azzardo. E' Dawson City. Nel 1900 la comunità ci crede, nasce una scuola, un campo da hockey e un cinema. Poi due cinema e poi tre. E a Dawson arrivano dopo almeno due anni dall'uscita i film, le terze e quarte visioni, in pellicola, centinaia di pizze in nitrocellulosa altamente infiammabile. E questi cercatori d'oro, vedono per anni centinaia e centinaia di film, di tutti i generi.

Intanto passano gli anni, la corsa all'oro si sposta, Dawson si spopola, poi si ripopola, poi arrivano le concessioni, le grandi aziende, il dragaggio dell'oro ormai è monopolio di una sola società, ma la vita a Dawson continua, e prendono fuoco e si ricostruiscono i cinema. La banca custodisce le pellicole, pellicole che dopo anni le case cinematografiche non vogliono indietro per non pagare le spese di spedizione. Allora vengono buttate nel fiume insieme a tonnellate di altri rifiuti.

Sono gli anni '40 e due coniugi trovano tra le intercapedini della loro casa centinaia di lastre fotografiche dell'epoca della corsa all'oro. Le portano da uno chiedendo di cancellarle perché le vorrebbero riutilizzare per farci un lucernario. Ma il vetraio capisce e se le compra e poi le dona ad un museo. La testimonianza è salva. Invece nel 1974 mentre si scava per dei lavori vengono fuori centinaia di pellicole che erano state interrate nella vecchia piscina. Conservate dal permafrost, le pellicole sono riemerse quasi intatte e poi restaurate.

Ci sono film importanti ma anche film amatoriali, che documentano ad ogni incendio un mondo che brucia per poi rinascere, ogni volta.

La musica, solo la musica, originale, accompagna questo montaggio rutilante, che ci dice che le masse si muovono per disperazione e muoiono pur di tentare di vivere, che i Trump hanno iniziato la loro fortuna aprendo bar e bordelli nel Klondike poi predicano moralità, che le grandi società e le macchine hanno sostituito l'uomo. Che il cinema sonoro è la fine di un mondo e l'inizio di un altro. Che c' era un cinema che sembrava semplice ed ingenuo ed invece era sperimentale e molto più evoluto e comunque basilare per chiunque oggi faccia cinema. Che la pellicola infiammabile di cui non resta più nulla ha portato conoscenza, cultura e sollievo centinaia di persone ai margini di ogni angolo del mondo. Che il 35mm, è molto più profondo di qualsiasi cinerama super 4d iperpanoramico virtuale.

Che esiste un cinema di montaggio e di raccolta come questo di Bill Morrison, di memoria ma anche del futuro. Un cinema che non incasserà mai miliardi di euro, un cinema di registi che non sfileranno mai sul red carpet insieme alle starlette svestite. Un cinema che nessuno nemmeno osserva, che nemmeno recensisce, un cinema che racconta con materiale di risulta, la disperazione, la sopraffazione, lo sfruttamento, i microcosmi, il costume, il disastro e la vita più forte di tutto, senza aver bisogno di trucco, di trucchi, di luci, di parole e parole e parole di cui abbiamo piene le scatole.

Il cinema giunse subito all'ultimo avamposto. La carta, il vetro e la pellicola resteranno, nessuno tra cento anni potrà invece trovare i nostri file sepolti sottoterra.

Bisognerebbe pensarci, ogni tanto.

TRAILER   https://vimeo.com/180648695

QUANDO IL REGISTA ERA IL PROIEZIONISTA

di Barbara Napolitano

Inventiamo insieme una storia. Io sono un notissimo regista che decide, così per gioco, di travestirsi per non essere riconosciuto, e contestualmente di recarsi in un piccolissimo paese della provincia di Matera per guardare insieme ad un pubblico di sconosciuti, uno dei miei film.

Ad un quarto d'ora dall'inizio cominciano le prime inquietudini. Mi accorgo che quelle inquadrature che ricordavo benissimo di aver inserito in un preciso punto sono incredibilmente scomparse, ma mi dico che la signora alla mia destra dotata di splendida scollatura mi ha distratto. Poi mi accorgo che manca un'intera scena di una cena, ma forse il sindaco di quel paesino non gradiva i riferimenti alla sua area politica... alla fine del primo tempo non resisto più. Quelle mancanze non possono essere tutte errori o frutto della mia immaginazione. Cerco arrabbiato il proprietario del cinema e mi rispondono che è nella cabina di proiezione. Siamo nel 1960.

Ecco. Fino a che non è arrivato il codice attraverso il quale ogni scrittore, regista, produttore, può essere sicuro che la gente veda il film così come alla fine è venuto (perché sia chiaro nessuno riesce a fare il film che aveva pensato, così come lo aveva pensato per ragioni che ora, qui sarebbe troppo lungo spiegare, ma un giorno vi toccherà) tutto era nella mani di uno solo: il proiezionista. Lo so. Oggi tutti a dire che era magnifico, un mestiere magico perduto.. ma la bellezza della pellicola e la bruttezza del digitale? Poi però tutti a litigarsi fino all'ultimo pixel.

Ebbene nelle mani del proiezionista era il destino del film. Certo non saranno poi stati tanti gli autocrati che hanno deciso a proprio insindacabile giudizio di tagliare ed incollare a piacimento qualche pezzetto.

A Venezia per esempio proprio qualche anno fa si cercò la testa del proiezionista ... come racconta Roberto Parisi.

In una edizione del Festival del Cinema di Venezia di alcuni anni fa un gruppo di Proiezionisti romani fu chiamato, dall'allora Direttore, per fare le Proiezioni. La serata inaugurale si apriva con un film restaurato di un famoso Regista italiano. Naturalmente la copia era stata controllata, era stato detto ai proiezionisti. La proiezione avveniva per parti. A tre quarti del film (film lungo) succede il disastro... Salgono in cabina alcuni tecnici e dicono di fermare la proiezione, perché c'era una inversione di parti (sic!...) Naturalmente imprecando subito contro i proiezionisti... Si scopre che lo Stabilimento di Stampa aveva invertito i Rulli di quella parte.

Insomma io non sono certo una a cui si può rimproverare di non amare il passato, ma lo amo senza derive "nostalgiche"/controproducenti. Senza tornare indietro ai Lumieré che misero il proiezionista al centro del pubblico (ma si trattava di pochi secondi il tempo di far arrivare il treno), e senza voler scomodare Tornatore e

Castellitto, sappiamo che l'omino che gestiva "la magia" un fascino tutto suo lo aveva.

Parliamo di Venezia in queste settimane e quindi rimaniamo nel tema. A Venezia uno dei proiezionisti che tutti potete conoscere "in rete" è Giancarlo Tagliapietra, che ci viene così presentato da un sito che si dedica a mestieri e abitudini scomparse od in via d'estinzione.

"Giancarlo Tagliapietra, ci racconta gli anni d'oro del cinema quando il proiezionista, chiamato anche 'gobbo', era un vero professionista al servizio del pubblico. Le tecniche di proiezione, richiedevano grande perizia tecnica, manualità e un lavoro costante e spesso pesante. Le tecniche di oggi, purtroppo hanno rubato il lavoro dalle mani di questi sapienti artigiani della pellicola che adesso, sono schiavi di sterili e meccanici automatismi."

https://www.memoro.org/it/La-professionalit%C3%A0%C2%A0perduta_2637.html

E questo è. Un leit motive che fa rimpiangere il tempo in cui per proiettare qualunque capolavoro, ma diciamolo pure enormi cagate!, si ricorreva a persone che avevano passato l'infanzia a tentare di entrare nella magica cabina e poi al compimento del diciottesimo anno prendere un patentino

"una volta "dovevi fare un colloquio con un ingegnere del Comune per le norme di sicurezza e con un vigile del fuoco per le uscite di emergenza e per come usare gli estintori, perché le pellicole potevano prendere fuoco!". Ma no, a lui non è mai successo: "Non sono così vecchio, quando ho iniziato io le pellicole infiammabili erano già fuori legge". Incidenti sì, sono capitati, ma mai gravi. "Mi sono fatto una risata quando, durante la proiezione de Il triangolo delle Bermude, il cuoco della nave, morto parecchie scene prima, è ricomparso sullo schermo dopo 40 minuti". Qualcuno aveva tagliato la pellicola e poi l'aveva riattaccata nel punto sbagliato: "È importante evitare che la pellicola cada in terra come una stella filante perché poi è un delirio ritrovare il capo e la coda".

https://www.repubblica.it/spettacoli/cinema/2016/02/12/news/stefano_bognar_il_proiezionista-132844423/?refresh_ce#gallery-slider=131456857

Poi c'è chi ancora nel 2014 gioisce per essere stato assunto come proiezionista della

71ma Mostra del cinema di Venezia. È l'allora ventinovenne Boris Fietta che si felicita attraverso il gazzettino della sua città di essere stato investito di tale carica di gran pregio per la favolosa Mostra del cinema di Venezia!

https://www.ilgazzettino.it/pay/vicenza_pay/da_proiezionista_di_paese_mostra_cinema-554255.html

Insomma il proiezionista è oramai l'eroe dei due mondi: Garibaldi ATTENTO! Arriva quest'anno anche la consacrazione con un film dedicato a Pietro Tortolina, amico stimato di registi come Mazzacurati e molti altri nomi fondamentali per la storia del nostro cinema, raccontato dall'ottimo Marco Segato che lo presenta a "Venezia 78".

"Piero Tortolina è stato un punto di riferimento, un nume tutelare per un'intera generazione di cinefili. Un viaggio per incontrare le persone che lo hanno conosciuto, tracciando sullo sfondo il ritratto di una intera epoca, quella straordinaria dei cineclub. Un film sulla passione inestinguibile che ha animato per tutta la vita Piero Tortolina, ingegnere, corsaro e palombaro del cinema invisibile. (... ) forse l'ultimo vero cinéphile, vissuto in un'epoca in cui il cinema era grande e le passioni che animava straordinarie. Tortolina era consapevole della parabola incerta che il cinema stava compiendo, lui che aveva amato quello classico americano degli anni Trenta e Quaranta. Eppure non smise fino all'ultimo di essere curioso, di interessarsi a registi nuovi, di avere fiducia nei giovani». (Marco Segato).

https://www.venice-days.com/film.asp?id=12&id_dettaglio=78

https://www.cinemazero.org/scheda.asp?id_documento=414&id_sezione_padre=145

https://youtu.be/0dQUX-dJgtM

https://www.youtube.com/watch?v=hxxBYtTH2go

Lo so. La magia non c'è quando uno deve inserire un codice e partire in play, come potrebbe fare pure un qualunque ragazzino alfabetizzato rispetto all'epoca nella quale vedevamo e sentivamo una silhouette rumorosa, che armeggiava tra lampi e lenti, e decideva quando il film poteva partire.

Ma io credo che per molti registi l'idea che il film che hanno montato sia molto probabilmente quello che tutto il mondo vedrà, non li faccia rimpiangere così tanto questo valente mago della pellicola.

https://mic.cinetecamilano.it/rassegne/pellicole-dallarchivio-film-cerano-una-volta-i-proiezionisti/

Come è triste VENEZIA 73  di Nicola Guarino

L'evento principale della mostra del cinema di Venezia 73 non sarà un film ma una miniserie televisiva 

The Young Pope di Paolo Sorrentino.

Una contraddizione? Un Segno dei tempi?

Direi di no.

Intanto il cinema contempla alla sua nascita la serialità, nel 1913 Lousi Feuillade inizia la serie di Fantomas e successivamente Les Vampires, veri e propri serial come li concepiamo oggi. Proprio a Venezia fu proiettata l'intera serie de Il Decalogo di Kieslowsky.

Quindi sembra una novità ma non lo è. Il successo delle serie televisive sdoganate in forma diversa dal solito telefilm prima da Twin Peaks e poi da Lost ormai è appurato e dati i mezzi di produzione ormai da tempo equiparati a quelli del cinema, contemporaneamente ai mezzi di fruizione, televisori sempre più definiti e grandi e suoni sempre migliori, rendono la serialità televisiva sempre più presente nel racconto videografico. Oggi parlare di cinema è sempre più complesso, anche fare differenze lo è. Cosa cambia da un cortometraggio ad un lungometraggio ad una web serie a una serie tv ma solo perché la vediamo in tv.

Gli attori e i registi passano da una modalità di racconto ad un'altra senza soluzione di continuità e lo snobismo che ancora fa differenza tra il CINEMA e la TV. Certo alcuni funzionari televisivi rispondono che ciò che va in tv è tv e non cinema per cui una partita di calcio è uguale ad una puntata di Lost. Altri continuano ad infondere l'idea che esista un cinema intoccabile che si vede solo in sala grande. Ma quanto cinema negli ultimi quaranta anni abbiamo visto in vhs ?

Venezia 73 in questo senso è vetusto.

Malgrado lo sforzo di Young Pope e la distribuzione di alcuni film in streaming su Mymovies e Repubblica.it, tranne un risibile tentativo di incontro fra produttori e proponenti progetti di webserie e serie tv, Venezia mantiene intatta la sua vacuità e come tutto il resto d'Italia non recepisce in alcun modo l'esistenza della rete web e dei prodotti usufruibili tramite questa. Netflix, ma non solo, è un mostruoso cambiamento nelle abitudini dei consumatori che si vogliono svincolare dall'orario di messa in onda piuttosto che dai giorni di programmazione. Certo tutta questa "democrazia" del fruitore fa perdere potere ai critici che scrivono per giornali che leggono solo gli addetti ai lavori e per i loro sponsor. E poi si perderebbe l'opportunità di un festival, quindi di turismo, di soldi, di appalti...

La verità è che questi vertici sono inutili ormai, ma già Carmelo Bene, nel lontano 1983 si chiedeva quanto fosse interessante per una casa di distribuzione venire ad un festival quando poteva ormai avere i film a "pacchi" in anteprima.

Di Venezia, come di Cannes e di Berlino, resta sempre poco, poco perché questi festival  si circondano di un'aura autocelebrativa a cui non crede più nessuno. Chiunque qui, non crede a nulla, sa che da qui non passa nulla, insomma una difficoltà ad accettare un mondo che cambia e il problema più serio è che i giovani e gli esordienti vittime di una mentalità sorpassata sono diventati più vecchi dei vecchi. I loro film resteranno senza distribuzione e senza spettatori.

Attendo ancora una vera ribellione, ma una ribellione percepita e non fasulla, attendo il tempo del deserto, il tempo della diserzione, il vuoto. Solo un vuoto può essere riempito altrimenti fin quando ci sarà qualcuno nel barile  ci sarà qualcun altro che raschierà il fondo del barile.

Per Luchino ...HIP HIP Hurrà!

... anche se amo Pier Paolo.

di Barbara Napolitano

Lo so che sono deviata dalla mia appartenenza "estremamente" proletaria. E so che i due artisti non sono neanche lontanamente paragonabili per le scelte che hanno fatto in termini stilistici, forse anche per la composizione formale delle immagini dei loro film. Ne trovo, però, tante similitudini, soprattutto nell'approccio passionale urgentissimo, che portò entrambi al limite del possibile il racconto, che definì per tutti e due un percorso che portava sempre ad un eccesso di rappresentazione del desiderio. Io, però, sono troppo innamorata del secondo, che mi accompagna nella vita come farebbe un mentore/stalker e per il primo continuo a provare un'ammirazione turbata dal fatto che nasce ricchissimo ed in ambiente coltissimo, nipote di un uomo che salva dalla rovina la Scala di Milano, figlio di una donna proprietaria di una casa farmaceutica tuttora sulla cresta (Erba), proprietario a soli 26 di una scuderia i cui cavalli arrivano a vincere il Gran Premio di Milano San Siro, amante di Coco Chanel e Helmut Berger.

Insomma uno che dovremmo guardare in tralice ed invece mi conquista.

Primo film di Visconti a Venezia nel 1948 è "La terra trema", apprezzato e vincitore del premio intitolato ai "valori stilistici e corali".

Pier Paolo a Venezia ci è andato da vivo e da morto, da morto un'ultima apparizione nel 2011, come protagonista del film che racconta delle sue ultime ore, "Pasolini" di Abel Ferrara con Willem Dafoe https://www.panorama.it/cinema/pasolini-abel-ferrara-venezia/

e da vivo, ad esempio nel 1962, con un magnifico film "Mamma Roma" protagonista la Magnani. Quell'anno, tra l'altro, vi furono in gara pure "Lolita" di Stanley Kubrick e "Il coltello nell'acqua" di Roman Polanski. E nel 1962 non c'era Luchino, ma suo nipote che si distinse tra i giovani di quell'anno e fece commentare ironicamente ad un cronista dell'epoca che bisognava adesso mettere in scena "Luchino e i suoi nipoti".

https://www.youtube.com/watch?v=Rv0tmW05PkE

Pasolini veniva "ben" accolto: prima gli attivisti di Ordine Nuovo gli si scagliano contro e, appena arrivato, riesce ad avere un'altra denuncia, come il nostro cronista racconta "sta diventando il benemerito della benemerita".

Visconti col Festival aveva nel 1962 ancora un conto aperto. Nel 1954, infatti, un suo acclamatissimo film "Senso" era stato clamorosamente privato di qualunque premio nonostante critica e pubblico favorevolissimi.

"... la testimonianza di Piero Regnoli il quale affermò: «la D.C. mi inviava a Venezia per impedire la premiazione di Senso e per favorire quella di Giulietta e Romeo. Quando feci resistenza, mandarono di nascosto Scicluna Sorge il quale [operò] per intervenire presso gli altri membri della giuria che poi, a mia insaputa, furono in gran parte comprati. E difatti Senso non fu premiato». La decisione della giuria veneziana scatenò altresì veementi critiche da parte dei commentatori di sinistra. Ugo Casiraghi parlò di «protesta più decisa e compatta che sia mai esplosa in tutti gli anni del Festival» per «una troppo grave ingiustizia»."

https://it.wikipedia.org/wiki/Senso_(film)

Tra l'altro "Senso" faceva sfoggio di un trailer italiano bello come pochi, di cui io amo in particolare la parte in cui si definisce Massimo Girotti attore di "vigorosa interpretazione, ardente di italianità"!

https://www.youtube.com/watch?v=XUAwmeSM6aw

Il primo Festival di Venezia di Pasolini fu quello di presentazione di "Accattone" del 1961 che, sebbene fuori concorso, non fu salutato dal plauso della critica, rifacendosi invece a Parigi dove ne dissero bene.

Nel 1962 Visconti non è tra i protagonisti di Venezia, mentre Pasolini porterà alla Mostra "Mamma Roma".

Ironicamente un commentatore sottolineò che pur mancando il grande Luchino era presente un suo talentuoso nipote nella categoria delle giovani scoperte del Festival di Venezia e quindi si consigliava a Luchino di produrre "Luchino e i suoi nipoti". Il reporter faceva così riferimento all'altro film del regista "Rocco e i suoi fratelli", presentato nel 1960 e premiato con il Leone d'argento, ancora una volta tra lo scandalo generale, poiché avrebbe meritato a giudizio di molti il primo premio.

Insomma le presenza tanto di Luchino quanto di Pier Paolo non passa inosservata tanto che lo stesso "Accattone" dopo Venezia verrà censurato in tutte le sale italiane e sarà vietato ai minori di 18 anni, mentre per difendere le opere di Visconti si assistette a vere e proprie sommosse popolari...

Per Pier Paolo le soddisfazioni arriveranno due anni dopo con il "Vangelo Secondo Matteo" presentato alla Mostra nel 1964 che ottiene un grande successo di pubblico e di critica ed il leone d'argento mentre nel 1968 con "Teorema" gli viene accordato il premio O.C.I.C. (Office Chatolique International du Cinéma). Ma si sa Dio si porta sempre...

Visconti dovrà aspettare invece il 1966 per impossessarsi del Leone d'oro con il suo "Vaghe stelle dell'orsa", Venezia comunque rimane un grande amore per il regista che la celebrerà pure nel suo "Morte a Venezia" del 1971.

Mentre l'ultima soddisfazione di Pier Paolo arriva per interposto lavoro, dal momento che nel 2015 "Salò o le 120 giornate di Sodoma" vince il premio per la miglior opera restaurata. 

FESTE, FARINA E FESTIVAL.

Quando si dice Napoli a Venezia.

di Barbara Napolitano

Quando passano diversi mesi dal Festival di Sanremo, ma tristemente per qualcuno anche il giorno dopo, si fa fatica a ricordare chi fossero i protagonisti, i vincitori, persino i presentatori della kermesse... Questo nonostante il Festival rappresenti un evento mediatico di proporzioni stratosferiche. A volte, forse, proprio l'eccessiva quantità di informazioni ne determina un effetto calderone nel quale tutto poi appare confuso, perdendosi tra presentatori, cantanti, ospiti edizioni e vallette, pardon copresentatrici.

Il festival di Venezia, che chiaramente si occupa di cinema e non di canzoni, ahimè, soffre un effetto ancor più anonimo. Se non si è addetti ai lavori od amanti del cinema, il festival del Cinema di Venezia non ha, appunto, per il pubblico "normale", le grandi platee, insomma, la vetrina che meriterebbe. O no?

Mi viene da pensare alla notte degli Oscar che il pubblico segue, nel suo evento televisivo/mediatico, soprattutto perché è particolarmente apprezzato lo spettacolo televisivo costruito intorno all'evento Oscar.

"Diceva di essere nervoso per questi Oscar e infatti Neil Patrick Harris ha fallito la sua missione al Dolby Theater. La serata negli Usa è stata seguita da 36,6 milioni di spettatori, (36 milioni, capito o no???) il 16% in meno rispetto al 2014 (43,7 milioni): gli ascolti più bassi degli ultimi 6 anni..." Dagospia

Ma ci rendiamo conto che le cifre sono ben lontane, per l'attenzione del pubblico, a quelle del Festival nostrano.

https://movieplayer.it/news/cielo-ottimi-ascolti-per-la-notte-degli-ocar_34078/

https://blog.screenweek.it/2014/03/oscar-2014-ascolti-da-43-milioni-e-il-miglior-risultato-degli-ultimi-10-anni-333062.php

Per questo motivo, probabilmente, è più facile che si ricordi chi ha vinto l'ultimo Oscar (anche quando non è Sorrentino), mentre a stento si ricorda chi c'era a Venezia questo pomeriggio.

Il campanilismo, invece, non fa mai difetto e ogni Regione è pronta a sollevare l'attenzione dovuta ai partecipanti, in gara o meno, della rassegna.

E a questo proposito ecco Repubblica Napoli dedicare ai campioni di casa un bell'articolone.

https://napoli.repubblica.it/cronaca/2016/08/30/news/sorrentino_orlando_e_braucci_napoli_a_venezia_col_tris_d_assi-146862652/?refresh_ce

Non si tratta di una novità.

Nel 1980 il Mattino illustrato di Napoli dedicava a Nino Russo la copertina, in onore della presentazione a Venezia del suo lavoro: "... Russo ha infatti girato due telefilm per la Rai <<Quanta gente per la via>> e <<Parteciperanno noti artisti della RAI-TV>> che, col titolo unico di <<Feste, Farina e...>> saranno le uniche opere che porteranno sugli schermi della Biennale veneziana l'<<aria>> partenopea...".

I due film raccontano di Napoli e del rapporto che la città ed i suoi personaggi hanno con il cambiamento, quello tecnologico nel caso specifico. Il protagonista, è sempre Pippo Ciotola (Francesco de Rosa), che nel primo film veste i panni di un radiocronista che deve utilizzare la tecnica del reportage per raccontare "i fujenti" di Madonna dell'Arco. Il suo rapporto frustrato con i mezzi tecnici rende complicata la telecronaca. Il colmo è che il suo lavoro lo priverà anche dell'amore di Maria, la sua fidanzata, che ella stessa fujente non vorrà più saperne di lui dal momento che l'ha ripresa "in trance" e dunque ha commesso un sacrilegio, dal momento che non doveva venire assolutamente immortalata in piena crisi mistica.

Il secondo film, invece, "Parteciperanno molti artisti della RAI-TV" racconta delle peripezie dello stesso Ciotola nelle vesti di attore che cerca un ingaggio. Vorrebbe partecipare ad una festa di piazza, in una "povera" piazza che cerca di attrarre pubblico proprio con la fantomatica scritta che dà il titolo al film.

"... il mio "doppio telefilm" ... approfondisce quel discorso (della realtà meridionale tanto contraddittoria da non poter essere definita dalle forme tradizionali di spettacolo). Innanzitutto c'è Napoli che è per me l'esempio più ricco di questa contraddizione. Una città dove vecchio e nuovo convivono in maniera caotica e "meravigliosa", dove la tecnologia non esclude la magia, il "cambiamento" non scalfisce convinzioni ataviche. Dove ci si adatta al nuovo, ma sempre con una sorta di riserva mentale..."

Nino Russo è un regista sensibile ed intelligente che mangia pane e cinema e scrive, ancor oggi, autorevolmente della situazione del cinema italiano e mette sovente la sua esperienza al servizio dei giovani.

A Venezia ritorna fuori concorso, nel 2011 con un film a 16 mani che racconta del terremoto, titolo dunque tristemente attualissimo, che distrusse Messina e Reggio Calabria nel 1908. Terremoto da centomila morti. Si tratta del lavoro di quattro registi: "Speranza" di Carlo Lizzani, "Le rive della morte" di Ugo Gregoretti, "Sciacalli" di Francesco Maselli e "Sembra un secolo" appunto di Nino Russo.

Scrive Tonino de Pace:

"Quattro episodi che lavorano su due direttrici fondamentali: i sentimenti e la critica politica. L'intento dichiarato è quello di utilizzare la memoria collettiva e i resoconti dell'epoca, per raccontare il cataclisma, per farlo diventare memoria condivisa di un Paese, spesso a corto di dispositivi mnemonici di portata popolare. (...)Nino Russo firma Sembra un secolo. Una metafora dell'oggi che deriva dal quel disastro. Un elogio va fatto a Gianfranco Quero protagonista assoluto del film che incarna zio Turi, un eterno deluso o illuso di questo Paese, un'Italia che non si trasforma con il passare del tempo. L'episodio è il ritratto, un po' scontato, di un Paese immobile pronto a festeggiare questa sua immobilità. E' l'unico episodio girato sui luoghi. Ma va detto che non è vero quanto si afferma nella didascalia finale. Le baracche di Messina (e quelle di Reggio Calabria) non sono quelle del terremoto, ma frutto del successivo malgoverno che continua nei secoli senza scosse."

https://www.sentieriselvaggi.it/venezia-68-scossa-di-carlo-lizzani-ugo-gregoretti-francesco-maselli-e-nino-russo-fuori-concorso/

La storia del cinema mostrato a Venezia comprende sicuramente opere ed artisti meritevoli quanto il nostro Nino Russo, a me, però, è venuto in mente lui perché appartiene a quei registi capaci di raccontare una storia mettendola sempre prima di se stessi. Non lo fanno tutti tutti. 

© 2016 Il Niminchialista Cinematografico di Barbara Napolitano e Nicola Guarino
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